Diario del film. Il sacrificio del cervo sacro (2017) – Yorgos Lanthimos

A un medico colpevole (?) di aver fatto morire un suo paziente durante un’operazione viene profetizzato, dopo una serie di eventi premonitori, che dovrà compensare la morte con l’uccisione di un suo familiare, altrimenti sua moglie, suo figlio e sua figlia seguiranno una serie di decadimenti fisici (perdita dell’uso degli arti inferiori, rifiuto del cibo, sangue dagli occhi) fino alla morte. Con una regia che mi ricorda molto il Kubrick di Shining (riprese dall’alto in lunghi corridoi, effetto steadycam, scenografie geometriche) e un uso della colonna sonora geniale (pochi suoni che entrano in frizione tra loro, anche nei momenti rilassati, e parole a volte coperte dalla musica), Lanthimos prosegue il suo percorso di riattualizzazione nella famiglia moderna di schemi appartenenti al mito antico, di forze in cui si intrecciano in senso distruttivo amore e odio. Qui il protagonista deve decidere se uccidere uno dei suoi familiari o lasciarli morire tutti: opta per la prima, ma attraverso un gioco casuale che è a tutti gli effetti un rito sacrificale. Il fatto che lui sia un medico lo rende hitchcockianamente consapevollizzato fin da subito: sa come reagisce un corpo alle malattie e segue il decadimento della sua famiglia attraverso tutti i passaggi clinici. Un film potente come tutti quelli di Lanthimos, anche se più posato e sottile rispetto a The Lobster: qui il macabro di Lanthimos è nella scelta assurda del protagonista, perciò il peso della violenza è ridotto in favore del peso della decisione, di un peso psicologico.