Vivere nella società virtuale significa essere immersi in meccanismi di significazione diffusa per cui un oggetto culturale (un oggetto tout court) raggiunge il soggetto solo all’interno di una dimensione “espansa”, galleggiando cioè in un nucleo di significati ulteriori che riguardano la percezione collettiva, il prezzo, la riproducibilità tecnica, il medium, lo status sociale, l’appartenenza a un gruppo, ecc.
Un oggetto (culturale) non si dà insomma nella sua nudità estetica, ma sciolto entro la propria sfera di ingerenza simbolica.
Poiché questo è spesso taciuto (non problematizzato o semplicemente non osservato) l’etica culturale più frequente (che possiamo chiamare tendenza) è l’acquisizione inconsapevole della sfera simbolica insieme all’oggetto, dunque una reazione che punta non alla critica – al giudizio -, di per sé straniante, dell’oggetto-sema, ma all’adeguazione del proprio comportamento agli input della sfera simbolica/tendenza (quale status posso ottenere, in quale gruppo culturale entro, cosa mi fa giadagnare questo medium, in che modo aumenta la mia significatività virtuale ecc.). L’effetto è l’inseguimento (apparentemente autolegittimante) dell’epoca, dunque la perdita di sé e l’alienazione.
L’autenticità (che corrisponde a un porre, a un’autorità: autos-entos), io credo, si trova invece all’esatto opposto; si acquisisce cioè nella critica dell’oggetto, quindi nel trovarsi spostati rispetto alla tendenza e all’offerta del tempo, infine nella proprietà di sé.
Autenticità significa il contrario di tendenza: anacronismo rispetto all’epoca e contemporaneità rispetto a se stessi.