Coscienze idriche

Il rapporto che intessiamo coi luoghi è più stratificato e denso di quanto la vita da pavimento calpestato e basta ci fa credere. Abitare per me è confrontarsi costantemente con un enorme mole di passato inconosciuto alle spalle, con una tensione verso il sepolto da noi incontrollato.
Quest’anno, l’esistenza mi ha messo di fronte alla terza delle forme di “coscienza idrica” che ho conosciuto.

Lo Ionio l’ho ereditato da mia madre. È la grecità e la stasi, un’origine e in quanto origine l’assolutamente esotico. Confrontarsi col mare vuol dire confrontarsi col paradosso di un incontenibile sentito sempre come tuo, perciò contenuto nella sua incomprensibilità. Ci torno ogni estate come verso il «centro di gravità permanente».

L’Aniene è l’abitato quotidiano, dei «provinciali bagni al fiume». Il suo nascondimento costante, il fatto che per vederlo bisogna andarlo a scovare e lo scorrimento inquieto mettono di fronte a una memoria longitudinale, a qualcosa che non cessa. Un monito ricoperto dagli alberi e plasmato dagli argini che dice che ecco, è lì che si fa la vita, sotto i sassi bianchi, quando non la vedi.

Il Lario invece è un lungo pensiero. Qui mi sono confrontato con la solitudine, con forme multiple di meditazione, calibrate sull’altitudine: dalla spiaggia alle Alpi. I ragazzi mi hanno raccontato che in fondo all’acqua si trovano macchine, barche, corpi, mostri immaginari. Ecco, il lago è qualcosa che scola e si colloca, trova posto in una fermezza da ragionare e ragionare e ragionare… Ora che me ne sto per andare capisco che anche da qui è arrivata per me una nuova – non so se bella, ma nuova – specie di poesia.