Diario del film. Kung Fury (2015) – David Sandberg

Stupendo mediometraggio che viene dalla Svezia ma rielabora cultura principalmente americana e giapponese (e tedesca). Come funziona: in stile “vaporwave” (schermo fluttuante, colori violacei da neon di Vice City, sonoro da cabinato arcade, movenze dei personaggi ritoccate al punto da sembrare videogame), si gioca sulla storia di questo novello Bruce Lee (ma l’ambientazione è a Miami 1985) che combatte contro il male, di varie forme, ma soprattutto contro cabinati-robot e nazisti eccentrici (con tanto di viaggio nel tempo per affrontare Hitler). La vicenda è chiaramente un pretesto per generare un frullatore della cultura degli anni ’80: hard rock e synth pop, i film à la Conan il barbaro e à la Terminator, il Giappone dei videogiochi e delle arti marziali, gli sparatutto, le supercar, Star Wars, i supereroi… Il frullatore è però non solo un ironico omaggio verso la cultura trash anni ’80 (il film è davvero schizzato: violenza evidentemente artificiale e voli pindarici sia fisici che narrativi senza gancio alcuno), ma soprattutto consapevolezza (postmoderna) della storia che si rimastica, dell’appiattimento sul presente e dell’ironia inglobante l’universo (comprese le atrocità del nazismo).