Gioventù bruciante

Ieri a scuola incontro sulla violenza di genere. La sessione prevede la visione “a distanza” di uno spettacolo teatrale e una successiva discussione via Google Meet con il regista.
Succede che durante la conversazione (piena di stereotipi e banalità, come spesso purtroppo succede quando tematiche di questo tipo vengono trattate a scuola) dei troll (forse ragazzi dell’istituto con altri account, forse no), tra cui un famigerato potek, irrompono continuamente nella riunione con suoni molesti e shitstorm in chat. L’indignazione è generale, ma nessuno degli organizzatori – nessuno – riesce a impedire l’accesso di questi personaggi, nonostante in classe mia tutti sappiano come si fa: espellere gli intrusi e mettere la richiesta d’accesso alla riunione.

Allora decido di interrompere il dibattito ormai corrotto e dico ai ragazzi di ragionare insieme sul rapporto tra scuola e tecnologia, su come l’incontro sia diventato un tizio che parla con degli spettri, su come il tema della violenza (o quello imminente sulla memoria, più altri) sia trattato con sufficienza e tramite formulette preconfezionate, su come quasi quasi il situazionismo di potek è più interessante di una conversazione completamente ingessata.

L’ora successiva ho buco. In sala professori naturalmente non si parla d’altro, e siccome so che poi va a finire che mi incazzo me ne sto da parte, leggo il manifesto (c’è un tizio che legge sempre Libero in sala prof, e allora ho deciso di comprare il manifesto ogni volta che so che lo incontrerò e di sedermi di fronte a lui), finché non sento uno che fa:
«Va be’ semplifichiamo: sono cretini e basta».

A quel punto sono costretto: rispondo che un videogioco fatto bene è un’esperienza cognitiva e narrativa più profonda di una scuola che vuole insegnare una tecnologia che essa stessa non sa usare; che la violenza di genere (e la memoria, e il bullismo, eccetera) sono questioni serie e richiedono un linguaggio serio, una maturazione di sguardo, non un breviario di soluzioni astratte e semplicistiche; che, soprattutto, abbiamo il dovere di aprire una sociologia, un’antropologia e una psicologia per spiegarci il comportamento di potek, invece di bollare il problema come malattia generazionale.

Naturalmente mi mangiano vivo. Cretini, cretini. Perciò rigiro la questione a voi: quant’è paternalista, banalizzante e miope una gran fetta del corpo docenti? Come fanno delle persone che hanno il dovere di educare alla complessità e di esercitare l’analisi del mondo a ricondurre tutto a un’opposizione moralistica tra gli studenti-modello (che poi sono i composti, i robot, i morti) e i brutti e cattivi (che certe volte sono i più svegli e creativi)?

Potek, magari sei veramente un cretino. Ma per me può darsi pure che tu sia un cretino quarantenne, cinquantenne. Lasciaci parlare (bene) di violenza di genere, che è urgente, ma sappi che t’ho difeso da chi educa al non chiedersi niente. Dalla maggioranza.