Quando conosco una nuova classe, comincio sempre con una domanda: “perché state qua dentro?”
Cascasse il mondo, le prime tre risposte sono sempre queste:
– perché mi obbligano
– per il lavoro
– per cultura generale
Quando faccio notare, con un po’ di cinismo, che all’ingresso non ho visto genitori col fucile, che si può lavorare anche senza studiare e che “cultura generale” non significa assolutamente nulla, non sanno che rispondere. Vanno nel panico.
Noi dobbiamo lavorare su questo panico. Che la destra stia al governo è l’ultima foglia caduta, una questione di formalità sopra la sostanza più solida, che è quella di un agire senza visione di scopo: studiare per obbligo, lavorare per obbligo. Sono sfavoriti gli spazi sociali in cui si interrogano il senso e le condizioni.
Ma la classe può essere una cellula politica, di umano che guarda l’umano, se sblocca un percorso di accorgimento di sé. E può esserlo radicalmente proprio perché quella è l’età dell’apprendimento e della rivalsa. Con la sinistra istituzionalmente inesistente, agire politicamente oggi vuol dire fabbricare armi di frantumazione ideologica – spazzare via la cultura lavorista, la costrizione e il sapere-per-il-sapere borghese delle risposte sopra – e aprire spazi di discussione e immaginazione. Fuori dal centro, nelle zone di margine, nelle aule, nelle assemblee, faccia a faccia con le persone.
