Non credo nel mito dell’esordio. L’editoria (una certa editoria) propaganda in questo senso, categorizza l’esordio come specie particolare. Personalmente ritengo invece che i percorsi siano singolari e specifici, innanzitutto, e poi che la scrittura forte (diciamo così) si costruisca nel tempo, limando, facendo tentativi, e in certo senso anche nello spazio, cioè interagendo con delle collettività, sia interne sia esterne alla scrittura. Che questi tentativi poi vengano pubblicati o no, mi pare assolutamente irrilevante.
Di conseguenza, da un punto di vista artistico, non comprendo la logica secondo cui sarebbe un valore che un autore – magari giovanissimo – si presenti al suo primo libro già formato, con uno stile riconoscibile, nuovo, [scegli aggettivo da fascetta a piacimento].
Certo, questo può accadere ed essere interessante, può fare immaginare ulteriori buoni risultati in futuro, ma il modo in cui il paradigma dell’esordio viene costruito editorialmente mi fa pensare in particolare due cose:
1) che l’esaltazione dell’esordio sia correlata a un’idea di sacralità dell’oggetto-libro ancora difficile da smontare: la pubblicazione cartacea influisce pesantemente nella giustificazione di uno status (molto più della pubblicazione virtuale o digitale), e il tentativo viene così pregiudizialmente identificato col passo falso, o, peggio, con un talento che (“se parte così”) non promette niente.
2) che quando costruisce l’aura degli esordi, l’editoria (una certa editoria) abbia in mente più la vendibilità dell’enfant prodige, dell’epica del genio precoce, di cui si evidenzia l’unicità che è però spesso facilissima da decostruire, se la inseriamo in un orizzonte allargato (per dirla semplice: a fare di Mozart un fenomeno a cinque anni c’è anche il fatto che era di famiglia benestante e figlio di un compositore).
La domanda da farsi quindi è: c’è un valore nella scrittura giovane in quanto giovane? La risposta è sì. Ma questo valore sta nel fatto che la scrittura giovane può aprire nuovi paradigmi, nuove lingue, parlare di fenomeni che può intercettare proprio in quanto giovane. Una questione sociale, più che è un valore (strettamente) estetico; e forse la sua forza ha a che fare proprio con la sua natura di (eventuale) tentativo, di indagine di terreni non sondati, di obliquità rispetto a ciò che si è scritto in precedenza. Qualcosa di molto diverso, mi viene da dire, dall’ottica con cui spesso si tesse la comunicazione dell’esordio: performante, straordinariamente precoce, brucia le tappe, poeta bambino. C’è qualcosa di circense, in questo, atmosfera da freak show senza neanche la sana inquietudine dei freak.
