In cima all’Isola Comacina, tra resti romani e medievali, si trova questo oggetto. Visto così, è una meraviglia, puro dada: un quadrato vuoto, bianco, rotante, in cima a una collina. Fuori posto, divino e alieno.
Ma la frequentazione dell’oggetto, la lettura della didascalia e dell’hashtag mettono, in un secondo momento, di fronte alla sua effettiva “funzione”: inquadrare qualcosa – dalla vetta dell’isola i paesaggi sono belli e molteplici – dunque fotografarlo e smerciarlo su Instagram.
In questa dicotomia sta l’essenza del turismo, che ha due matrici fondamentali:
1) l’antidadismo, cioè impedire ogni forma di disfunzione e di alienità, imporre il funzionalismo come traino del consumismo
2) la bidimensionalità, cioè mantenere inquadrabile e misurabile la realtà, e intatto e irrinunciabile il fronteggiarsi di spettatore e spettacolo. Una sorta di “regola dei 180°” rubata al cinema e applicata alla realtà tutta
Questo oggetto, insomma, così luminoso all’inizio – pensate fare una salita e trovare in cima, senza ragione, non un santuario ma un inquadratore del cielo – mi ha poi dimostrato non solo che Simmel con Filosofia del paesaggio, decenni e decenni fa, aveva intuito alla perfezione i meccanismi di significazione dello spazio (è l’occhio che fonda il paesaggio, tramite una cornice anche solo ideale), ma soprattutto che, sì, turismo è l’al di qua, l’esatto opposto di esperienza.