Corpi (pseudo-)rappresentati

Nuovo Primark, Roma Est.
Le modelle rappresentate sui cartelli seguono criteri di inclusività, quanto a colore della pelle e forme del corpo. E fino a qui, bene.
Però mi chiedo: come può questo convivere col Bella ciao de La casa di carta stampato sulle magliette, con il non-luogo del centro commerciale, con la multinazionale?
È evidente questo cortocircuito: una nuova idea di corpo proposta nel luogo del consumo; cioè un’idea di avanzamento in uno spazio di conservazione (della gerarchia tra produttore e consumatore).

Possiamo allora permettere che a decostruire i modelli deleteri del corpo siano gli stessi soggetti che anni addietro li hanno costruiti? Non è questo un gioco delle tre carte e cioè ancora una colonizzazione dell’immaginario, solo in altra direzione?
Ricadiamo così di nuovo nell’ideologia del corpo – vedi Ronaldo, la moda del fitness ecc. – che è individualizzante, moralizzante e genera un “rimosso” collettivo, ovvero la struttura economica e il suo vizio.

Se non intercettasse la sensibilità (magari anche autentica) di una fetta di pubblico, e se attraverso quella sensibilità non riuscisse a magnetizzare un potere d’acquisto, Primark – o chi per lui – insisterebbe senza dubbio col modello Pamela Anderson.
A conti fatti, l’unica rappresentazione reale è l’autorappresentazione, il DIY, e noi dobbiamo stare attenti, attentissimi a non confondere la sensibilità con la strategia (di mercato).